There's no point to any of this. It's all just a... a random lottery of meaningless tragedy and a series of near escapes. So I take pleasure in the details. You know... a Quarter-Pounder with cheese, those are good, the sky about ten minutes before it starts to rain, the moment where your laughter become a cackle... and I, I sit back and I smoke my Camel Straights and I ride my own melt.

lunedì 9 novembre 2009

Incubo di una notte di mezza estate

La scuola era in fibrillazione: musica a tutto volume, colori e profumi inebrianti tutt’intorno, ragazzi e ragazze su di giri; Luca, ovviamente, si rifiutò di ballare come suo solito, e io, pur di non perdermi il divertimento che mi circondava, resi felice un paio di ragazzini del primo anno con un ballo, in piena “rivincita dei Nerd”.
Ricordo ancora perfettamente come andò: Luca mi si avvicinò mentre mi stavo scatenando su una canzone degli Oasis, con un tipo coi capelli rossi ed un’orrenda maglietta di qualche gruppo metal, mi cinse la vita col braccio e mi disse Devo parlarti un attimo, finita la canzone raggiungimi nel bagno degli uomini. Io pensai a qualche idea un po’ piccante, e aspettai le ultime note insieme al mio buffo compagno prima di raggiungerlo.
Attraversai il corridoio fino al bagno dei ragazzi, e quando entrai rimasi turbata: c’erano lui e Silvia appoggiati al lavabo, pallidi e con le braccia conserte…
Tutto mi sembrò strano, e iniziò a girarmi la testa
Il mio cuore iniziò a battere, come se volesse avvertirmi che c’era qualcosa che non andava, ma la mia mente si rifiutava di tornare lucida.
La mia vita che era andata in un crescendo proprio come in un telefilm, era ora sull’orlo del colpo di scena per la protagonista.
Stella, attaccò Luca, dobbiamo parlarti.
Il tempo si bloccò.
Il cuore smise di battere per un istante.
La mente si fece lucida.
Girai lo sguardo verso di lei e non esitai: Parla tu Silvia, voglio sentirlo da te
Già, dimmelo tu amica mia, non lasciare che sia lui a farlo.
Tutto si fece chiaro e faticai a trattenere le lacrime: era così ovvio. E io così patetica.
Non è come credi Stella, è una lunga storia disse lei con voce rauca
Voglio sentirlo da te Silvia, avanti dimmelo
Stella
Taci Luca, deve dirlo lei!
Non rendere tutto più difficile Stella, ti prego!
Avanti dimmelo Silvia. Dimmi che mi hai tradito...
E lui: Non è così semplice Stella,ti prego…
Stai zitto, tocca a lei
Silvia iniziò a piangere; le diedi uno schiaffo, forte, deciso, fragoroso.
Lui non si intromise, capì che era una cosa tra me e lei, capì che era una questione fra “sorelle”.
Lo schiaffo la ridestò dal patetico piagnisteo, mi guardò dritta negli occhi, senza indugio, senza sentimento, e parlò con voce ferma:
Sono incinta di Luca, Stella, mi dispiace.
Boom!
L’impatto.
Il tonfo.
La caduta.
Il mio respiro si interruppe un secondo, il mio cuore rallentò, mi si annebbiò la vista, strinsi i pugni pregando Dio di non farmi svenire, vidi con la coda dell’occhio “il mio ragazzo” abbassare lo sguardo, continuai a fissarla negli occhi e lei, non so come, sostenne lo sguardo.
Intorno a noi solo aria rarefatta e fumo di sigaretta, un silenzio gelido e il sottofondo ovattato della musica che proveniva dalla festa e che venne interrotto dal rumore vicinissimo di uno sciacquone e dalla serratura di una porta, che si aprì dietro di noi: Chiara uscì, visibilmente imbarazzata e rossa sul volto, stretta in un ridicolo vestito da sera (probabilmente preso in prestito da sua madre) e ci fissò dicendo: Scusate… io…Credevo fosse il bagno delle ragazze, scusate.
Il bagno sbagliato? Tipico di lei.
Loro due la fissarono, increduli e stupiti da quella stupida frase e io mantenni i miei occhi fissi su Silvia, Piacere di rivederti Chiara, non preoccuparti, avevamo finito, e mi girai verso di lei.
Incrociando il suo sguardo, anche se per la seconda volta in pochi mesi, vidi in quel momento un volto amico, e decisi di fidarmi per quella sera.
Le allungai la mano, e lei mi stupì, capendo al volo: prese la mia, si fece largo tra loro due, e mi condusse fuori del bagno. Io la seguii, rigida per sostenere le spalle che sentivo inermi, e continuai a fissare Silvia che ormai teneva lo sguardo basso a rimirarsi le decollté. Appena fuori dal bagno guardai Chiara, le strinsi la mano e comincia a correre, verso l’uscita.
Ci gettammo sui maniglioni antipanico della porta e ci riversammo affannosamente nel giardino della scuola.
E continuammo a correre. E correre. E correre.
Ero frastornata, confusa, ferita.
Ricordo l’afa di quella sera, pesante, l’aria pesante; ricordo il mio respiro stanco e affannato, il sudore, le lacrime e i singhiozzi.
Non so per quanto andai avanti, a me sembrò per ore.
Vomitai, annaspando, con dolori all’addome e allo stomaco; gli occhi rossi che bruciavano, la gola in fiamme, il battito accelerato, le forze che sembravano abbandonarmi, le gambe e le mani tremanti. Ero a pezzi, sembrava che mi stessi sgretolando lì, nei giardini del liceo, mentre un’orda di studenti ignari della mia sofferenza era dentro la scuola, a ballare, bere, fumare, a divertirsi. A sorridere al futuro.
Mi sentivo confusa, furiosa, perduta.
In pochi istanti il mondo mi era crollato addosso inaspettatamente.
Ricordo la mano di Chiara stretta alla mia, lei che mi spostava i capelli dal viso e mi asciugava le lacrime, nella confusione più totale; era la mia salvezza in quel momento, nonostante fosse praticamente una sconosciuta.

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